Varanasi una tappa impedibile in India, una città unica da scoprire
Il primo impatto con Varanasi è questo: aspetto Graziana sulla terrazza della guesthouse, sotto di me l’ampio letto color fango del fiume sacro, qualche anziano che vi si immerge, qualcuno che prega, ci sono dei bufali, sulla destra sale invece alto il fumo della legna che arde nei crematori, e in quel mentre mi sento toccare la spalla. D’istinto mi volto e…è un babbuino sulla balaustra che chiede il permesso al passaggio! Faccio un balzo istintivo all’indietro, non me l’aspettavo, mi viene da ridere! Surreale... Sembra un set cinematografico, e invece è tutto reale, siamo a Varanasi, la città sacra sul Gange.
Siamo frastornati per la stanchezza del lungo viaggio in treno e il tratto a piedi carichi come muli, sotto il sole. La doccia è una liberazione, rigorosamente gelata! Poi ci buttiamo verso sera nei vicoli, seguendo le indicazioni dipinte sui muri.
Perdersi tra i vicoli di Varanasi
La più antica e misteriosa città del mondo, sulla riva sinistra del sacro fiume, Varanasi ti rapisce, la odi ma non riesci a liberartene, la ami per il fascino unico che emana, Varanasi è tutto e il contrario di tutto…È la prima volta in vita mia che mi capita di non sapere da dove iniziare a descrivere un luogo così strano, così assurdo e al tempo stesso affascinante. Varanasi non è ospitale, nel senso che qui, per la prima volta da quando viaggio, non mi sento a casa, mi sento ospite rapito…È impossibile da raccontare come città, è solo da vivere, ma non sei tu a decidere come, è lei. Con i suoi stretti e malandati vicoli, alcuni bui, alcuni pieni di piccole botteghe che straripano di merce, piccoli templi incastonati tra le case e pochi tronchi che sembrano uscire dal cemento. Non riesci a guardare in alto, verso il cielo, perché gli stretti vicoli è come se ti inghiottissero, ti costringono a guardare avanti, non in alto. E poi la gente…tanta, i pochi turisti, quasi tutti giovani, si confondono tra gli Hindu, alcuni anziani pregano davanti al loro altarino improvvisato sul gradino di un qualcosa di simile ad un marciapiede. E poi i sadhu, gli asceti induisti, dalle lunghe barbe bianche e grigie, il volto pitturato, lo sguardo fisso…
È un labirinto, confuso, nel quale l’unico modo per orientarsi è grazie ai murales dei vari locali, guesthouse o negozi, che sono dipinti sui muri, uno accanto all’altro con tanto di freccia per guidarti nella direzione giusta. Scendendo la scalinata che porta sul Gange, dalla nostra guesthouse si passa accanto ad una piattaforma dove vengono cremati i corpi dei defunti: il fumo sale nel cielo, e le ceneri vengono poi gettate nel fiume sacro. Accanto le botteghe, che vendono di tutto, dall’acqua alla carta igienica, dalle offerte per la Puja (la preghiera del tramonto) alla legna con cui ardere i propri cari defunti, dai meravigliosi batik coloratissimi, ai braccialetti e ai cd…Non decidi tu dove andare…È Varanasi che ti trasporta nei suoi vicoli, tra mucche e odore di incenso, ma anche di letame. È facile perdersi, è facile farsi rapire da tanta stranezza. Poi improvvisamente i vicoli si riaprono sul Gange, che continua a scorrere tranquillo, oppure dalla parte opposta ti portano all’altra faccia della città, con le strade, e il traffico di gente, animali, e tuk tuk…Ha tre facce Varanasi.
Varanasi, in barca sul Gange
Passando davanti alle numerose barche di legno ormeggiate lungo le sponde del Gange, decidiamo di prenotarne una per l’alba seguente. Il più scaltro dei barcaioli che intuisce il nostro pensiero ci si avvicina e si offre per l’indomani. Chiede solo una cauzione: 1 rupia (credo la più bassa cauzione mai versata…), e poi una stretta di mano ricordandoci bene l’ora, le 5 del mattino come concordato; domani scopriremo un’altra faccia di Varanasi, osservo intanto il lento scorrere del fiume, e il sole che vi si va ad addormentare dentro…sembra tutto così assurdo qua, ma al tempo stesso magico.
Alle 5 del mattino, Varanasi sembra ancora dormire, non ci sono rumori. Il nostro barcaiolo ci aspetta e ci riconosce dalle ombre, ci dice che non ci porterà lui ma suo fratello più piccolo, un giovane ragazzo del posto che ci avvicina la semplice barca di legno che non sarà lunga neanche 3 metri. Gli altri barcaioli ancora dormono sulle loro barche, con le loro coperte a ripararli dal freddo della notte. Le muscolose braccia del ragazzo cominciano a remare, mentre spostano qualche barca parcheggiata, e ci dirigiamo in direzione sud. Avvolti ancora dall’oscurità, per ora l’unico rumore è quello dei remi che muovono l’acqua.
Lentamente però comincio a distinguere le sagome delle persone che si immergono nelle acque sacre, il sole, non ancora sorto, comincia a fare avvertire la sua presenza, e la città lentamente si sveglia: i ghat si popolano di persone,di tutte le età, che entrano nelle acque del Gange per lavarsi, per pregare, per purificarsi. E i colori cominciano a distinguersi, mentre il silenzio viene sostituito dalle campane dei templi già affollati dai fedeli. Dalla barca assistiamo alla vita che si affaccia sul Gange, lungo i ghat, tra animali che camminano sui lunghi gradoni, le facciate di vecchi edifici che ancora mantengono il loro antico fascino: vista da qui la città è bellissima, pittoresca per quanto confusa, con i suoi tanti ghat che scendono sul fiume, le cupole tipiche dei templi Hindu, e le case quasi ammassate le une sulle altre, e poi la gente, santoni che pregano, c’è pure una scuola di pratiche yoga dove i suoi piccoli allievi concentrati sembrano danzare verso il sole, mentre l’insegnante con altoparlante diffonde la musica e suoi insegnamenti.
Una signora si affianca con la sua piccola imbarcazione alla nostra per venderci un piccolo lume avvolto nella carta, da offrire in segno di devozione al fiume sacro. Il sole ormai è sorto dall’altra sponda del fiume, la sua luce illumina la città dopo aver offerto i suoi giochi di riflessi nell’acqua facendola sembrare inizialmente perfino dorata, mentre ora appare nel suo tipico colore marrone poco rassicurante. Ma per gli abitanti il fiume è sacro, ci si immergono per la purificazione, si lavano col sapone il corpo, la testa e perfino i denti. Le donne dai coloratissimo sari, dopo essersi immerse vestite, raccolgono l’acqua nelle bottiglie di plastica, alcuni ragazzi si tuffano da piccole piattaforme. C’è perfino un mangia fuoco che offre le sue evoluzioni al sole e a qualche curioso viaggiatore che lo fotografa. Per qualcuno questo può essere benissimo uno spettacolo quasi surreale e cinematografico offerto al turismo…ma non lo è, è la vita di Varanasi e di questa gente, che ruota tutta attorno a lui, al fiume sacro, alla Ganga.
Un’altra alba sul Gange
È trascorso un giorno, ancora le 5 del mattino, io e Graziana decidiamo di rivedere l’alba dalla piccola barca sul Gange… così, nel buio, cerchiamo tra le barche il ragazzo del giorno prima, ma probabilmente dorme avvolto tra le coperte, così saliamo sulla barchetta di legno di un uomo minuto, ma dalle braccia muscolose, barba e capelli grigi; contrattiamo il prezzo e partiamo facendoci largo tra le altre barche ancora ormeggiate.
Siamo anche oggi gli unici stranieri che partono dallo Shindia Ghat. Ci facciamo coccolare dalle acque del Gange, mentre di nuovo la vita di Varanasi si affaccia a noi, tra i suoni delle campane dei templi e le preghiere. L’atmosfera è ancora più magica. Il sole sorge lentamente, per poche rupie in più il nostro barcaiolo si offre di spingersi oltre allungando il percorso, così vediamo altri ghat, altra gente che si purifica, che si lava, che stende lunghissimi sari colorati, e le facciate bellissime degli antichi palazzi dei maraja. Le braccia dell’esile barcaiolo sono meno possenti del ragazzo giovane di ieri, la fatica si fa sentire, e così lascia che la barca derivi un po’ verso il centro del fiume, mentre stavolta nell’aria riecheggia il suono di una bella canzone indiana diffusa dagli altoparlanti della scuola di yoga all’aperto che avevamo già visto ieri.
Ora il sole è alto all’orizzonte e bacia Varanasi, i ghat sono pieni di gente e colori, anche le barche ora che non è più buio, sono aumentate, e noi, in senso inverso, lasciamo che la corrente ci riporti verso lo Schindia Ghat. Ci sono tantissimi uccelli oggi nel cielo, ma anche tanti aquiloni manovrati dai bambini che si rincorrono sui gradoni dei ghat trascinando i lunghi fili, mi ricorda il film “il cacciatore di aquiloni”, spero che questi bimbi siano un po’ più fortunati dei loro coetanei afgani…
Impossibile non dedicare l’inizio della giornata al Gange…