Esfahan, nel centro dell’Iran, la città definita dagli iraniani come la “metà del mondo” per il suo patrimonio di bellezze architettoniche, antica capitale di Persia.
Io ci arrivo dopo 7 ore di viaggio su un vecchio pullman Volvo partendo da Qazvim, la Valle della Morte, dopo aver lasciato la caotica capitale Tehran. Il tempo e’ trascorso lentamente sul pullman, ma l’ultimo tratto con i monti Zardkouh in lontananza nascosti da un gioco di ombre sovrapposte creato dal sole che tramonta, è stato uno spettacolo superlativo.
Recuperato lo zaino provo a contrattare sul prezzo (ma senza successo, lui irremovibile, io stanco) con un ragazzo che si offre come tassista (non lo è) per portarmi fino all’hotel che ho scelto, il Sahel. In effetti è distante e i 150mila Rial (15000 Tomam, che è l’unità di misura che in realtà viene più comunemente applicata) ci stanno. Il primo impatto di Esfahan è quello di una cittadina abbastanza grande, illuminata da tante luci colorate. Percorro col ragazzo sulla sua auto la lunga Chachar Bagh Abbasi Street, fiancheggiata da alberi e ampi marciapiedi pieni di negozi e di gente al passeggio. Il traffico è notevole, ormai quasi mi diverto a vedermi schivare anche in auto da altre auto e pedoni, sembra di essere in un videogame dove tutti appaiono incredibilmente tranquilli e sicuri di sé alla guida! Scambio qualche parola in inglese col ragazzo, il quale, in modo orgoglioso, chiama al telefono la sua fidanzata per passarmela e per farle ascoltare dalla mia voce il mio nome e da dove vengo! Arrivo al piccolo Hotel Sahel; non hanno ahimè camere singole disponibili, mi concedendo il lusso di una camera doppia con bagno e colazione per l’equivalente di 14 euro a notte.
La moschea del Jameh
Comincio di prima mattina il mio vagare per le strade di Esfahan, mi dirigo in direzione nord, verso il Bazar; c’è il sole e fa caldo, dopo una camminata di circa mezz’ora arrivo (non senza essermi perso un paio di volte e di essermi fatto aiutare da passanti e commercianti) alla grande Moschea del Jameh.
Oltrepassata la piccola biglietteria (solo 500 Rial x entrare), il primo impatto è di stupore: uno spazio immenso, con i suoi 20mila mq questa è la moschea più grande dell’Iran. Lo spiazzo del cortile ha al centro la vasca per le abluzioni ed è circondato da quattro grandi Iwan, grandi facciate con volte a botte e arco a tutta parete, bellissimi, rivestiti da splendidi mosaici di piastrelle color azzurro, il tetto a botte a forma di nido di ape. L’Iwan a sud, il più grande, è alto e sormontato da due minareti.
Mi addentro nelle sale interne, bui labirinti di colonnati e come soffitto tante perfette cupole in mattoni: la luce che filtra in queste spoglie sale dall’alto delle pareti, crea dei suggestivi effetti. Esco verso il cortile centrale e alzo gli occhi in alto verso l’Iwan, rimango sbalordito, è di una perfezione geometrica unica.
Il cortile è semivuoto, solo un paio di ragazze, probabilmente turiste locali, un piccolo gruppetto forse malese con guida al seguito, e un viaggiatore occidentale solitario oltre a me. Anche l’Iwan occidentale è maestoso, più sviluppato in larghezza che in altezza, con due grandi ritratti uno di Khomeini e l’altro dell’Imam attuale, Kathami. Al suo interno c’è un raffinato mirhab (nicchia) in stucco, ricoperto di iscrizioni coraniche, alle cui spalle si apre una buia sala di preghiera dal soffitto basso, completamente rivestita di grandi tappeti rossi. E’ bellissima questa moschea, una delle più imponenti che abbia mai visto; al suo interno regna un rispettoso e doveroso silenzio.
Il bazar con più di 1000 anni
Dopo oltre un’ora di foto e naso all’insù, esco per visitare l’adiacente bazar, che risale a più di 1000 anni fa: lunghi e bui corridoi sormontati da una serie di piccole cupole di mattoni, in quello che è un antico caravanserraglio, dove, una a fianco all’altra, ci sono botteghe che vendono di tutto: ogni zona di questo immenso bazar è divisa per categoria merceologica, ovvero il settore dell’abbigliamento, poi quello della frutta e verdura, quello più moderno e luminoso degli ori, poi il rame, la cancelleria, i bellissimi samovar per il tè, gli immancabili tappeti persiani e perfino i chador. Già, quella dei bazar è per tradizione la zona più conservatrice, e qui, a differenza degli altri luoghi della città, si vedono più chador indossati anche da alcune giovani ragazze. E’ comunque un luogo di gran fascino in cui perdersi e vagare tra i labirintici vicoli coperti.
La maestosità di Imam Square
Dopo un lungo camminare arrivo direttamente nella strabigliante Imam Square, la seconda piazza più grande al mondo dopo Tienammen a Pechino: è immensa, circondata dalle mura a due piani di portici fatti ad arco, interrotte a sud dalla maestosa entrata della Moschea dell’Imam e agli altri due lati dalla facciata del piccolo Palazzo Ali Qapu e dalla Moschea dello Sceicco Loftollah, con la sua bella cupola azzurra. L’immenso spiazzo centrale ha al centro una lunga vasca d’acqua con delle fontane e tutto attorno geometrici e perfetti giardini fioriti. Davvero uno spettacolo da lasciare a bocca aperta.
A quest’ora del mattino la piazza è tutta al sole, così anzichè aggirarmi a curiosare fra le botteghe, percorro il suo perimetro nei corridoi interni, all’ombra dei portici, anch’essi pieni di negozi in particolare di stoffe, tappeti, ceramiche azzurre e maioliche, argenteria e tanti dolci fra cui il famoso torrone al pistacchio. Qui a Esfahan l’artigianato locale è di gran lunga più interessante che non a Qazvim, più tipico e tradizionale. C’è anche il settore degli artigiani del ferro, dove incessantemente, donne e uomini nelle loro piccole botteghe stracolme di merce esposta, battono a mano il ferro o il rame come una volta.
Entro nella piccola Moschea dello Sceicco Lotfollah, dal porticato di ingresso ricoperto da spettacolari e raffinate piastrelle azzurre: dentro è atipica, non c’è il classico cortile, ma solo una sala, non tanto grande, sormontata dalla perfetta cupola dalle tonalità miste di azzurro e crema: pare che in epoca Safavide (epoca a cui risalgono gran parte delle meraviglie architettoniche di Esfahan) questa moschea venisse usata solo dalle donne dell’Harem dello scià Abbas I.
Continuo il giro della piazza e arrivo a pagare l’irrisorio biglietto di ingresso (500 tomam, meno di 20 centesimi di euro!) per entrare nella grande Moschea dell’Imam che domina la piazza a sud: delusione stavolta, gran parte della stessa infatti, compreso il cortile e parte della grande cupola, sono in ristrutturazione, i teloni e pali di ferro delle impalcature, rovinano un pò questa meraviglia, lasciando solo in parte intravedere la straordinaria bellezza degli azzurri Iwan. Ora in piazza c’è tanta gente e tanti sono i turisti locali.
I campioni mondiali di pic nic
Dopo oltre 5 ore di cammino da stamattina, mi incammino verso il Sahel Hotel, uscendo da Imam Square e ritrovandomi dopo breve nella centrale Chahar Bagh Abbas, un ampio viale con al centro aiuole ben curate dove a qualsiasi ora si vedono coppie ed intere famiglie che ci fanno il pic nic! Gli iraniani sono campioni mondiali, come cita la Lonely Planet, in questa pratica, ed è davvero così.
A lato delle strade c’è chi aspetta gli autobus cittadini alle fermate coperte, gli ampi marciapiedi sono molto puliti (non è un caso che vi sia un cestino ogni 20 metri), per fortuna, lontano dal Bazar, torno a vedere la maggior parte delle donne col capo coperto solo da colorati hejab e non dai chador. Ci sono anche i vigili con le loro impeccabili divise bianche: mi chiedo quale sia la loro utilità dato che qui, davanti ai loro occhi, pedoni e auto continuano a non rispettare alcuna regola stradale.
I ponti sul fiume Zayandeh
Prima di rientrare in camera, allungo il cammino di poche decine di metri fino al vicino Ponte Si-o-Seh, a cui arrivo riuscendo nell’impresa di attraversare la grande rotatoria adiacente. Esfahan è famosa per i suoi antichi ponti: questo, il più famoso, è stranissimo, totalmente pedonale, sembra una lunga diga a doppie arcate di mattoni, peccato che l’ampio letto del fiume Zayandeh sia in questa stagione completamente a secco. Salgo i pochi gradini e lo percorro in tutti i suoi 298 metri di lunghezza: sui lati si può accedere a dei corridoi paralleli dove coppiette o gruppi di amici si “appartano” per chiaccherare al riparo dal via vai dell’ampio corridoio centrale; molto bello.
Torno in camera stanco per una sosta, guardo un pò per curiosità la tv locale che ho in stanza, ci sono diversi canali, in uno stanno dando in lingua locale il film Wall-e della Pixar, in un altro un telegiornale con traduzione simultanea per i non udenti, dove soprattutto si parla delle proteste anti americane che stanno montando in tutto il mondo proprio in questi giorni. Dopo un pò di relax, mi rituffo per strada, dirigendomi nuovamente verso Imam Square. Una volta qui, visito il Palazzo Alì Qapù, risalente al XVI Secolo, e che fu residenza dello Scià di Persia Abbas I.
Salgo l’angusta scalinata di piastrelle blu e gialle che porta alla terrazza dalle alte e strette colonne di legno che sorreggono il variopinto soffitto; parte del patio è in ristrutturazione, così il panorama sulla vasta piazza che si può ammirare da qui è parziale, ma da un lato, la vista su Imam Square con la cupola e il minareto della Moschea dell’Imam e le montagne all’orizzonte, merita davvero. Il sole comincia lentamente a calare proprio alle spalle del Palazzo Ali Qapu, la piazza si riempie di famiglie e giovani, tanti questi ultimi, che stendono le loro stuoie o tappeti sugli spazi erbosi; un gruppetto mi invita a sedermi con loro, alcuni parlano inglese, sono curiosi ma non invadenti, e orgogliosi di confrontarsi con uno straniero! Chiaccheriamo, di tutto, alcuni son pro altri anti Ahmadinejad, l’attuale presidente iraniano, ma ne parlano liberamente e senza tensioni, passando dalla politica al calcio, sanno di ciò che accade nel mondo, sicuramente più dei nostri giovani. Non sono i primi che mi fermano a fare due chiacchere qui, in tanti mi chiedono perchè in occidente si parla male di loro e del loro Paese, davvero faccio fatica a spiegarglielo (e a capirlo). Alla fine, dopo la foto di rito, uno di loro insiste per regalarmi la sua kefiah, sono imbarazzato, ma anche felice ed orgoglioso! Mi ferma anche una famiglia locale di turisti, che vengono dal sud, da Kerman: anche loro son curiosi di sapere come mai sono qui e cosa penso del loro Paese. Padre, madre e due figli adolescenti, vestiti alla moda con maglietta Versace aderente e macchine fotografiche con le quali vogliono immortalare il momento insieme: mi sento una star, la gente mi ferma sempre con discrezione, due chiacchere occasionali, tutti ci tengono a sostenere che ciò che si dice da noi del loro Paese è frutto di falsità, e come non dargli torto…questa è l’ospitalità persiana, quella di cui anche Marco Polo si era tanto stupito nel conoscere, e che sto toccando con mano, rimanendone emozionato, ed orgoglioso.
Mi siedo ad aspettare il tramonto sul bordo della grande vasca con le fontane, dove alcuni bambini, scalzi, giocano camminandoci dentro. Viene buio e le volte delle mura che cingono la piazza si illuminano di una luce dorata, quasi magica, che infonde al luogo un tocco fiabesco. Alcune ragazze giocano a pallavolo sull’erba, c’è tantissima gente che fa pic nic o passeggia, mai vista una piazza così bella e così piena di gente locale dopo il tramonto…affascinato è riduttivo per descrivere tanta meraviglia…
Di ponte in ponte
La giornata comincia con la colazione nella tradizionale e pittoresca sala da Tè del Sahel Hotel. È venerdì, giorno festivo e di riposo per i musulmani, è facile percepirlo dalle strade decisamente più vuote. Pochi i negozi aperti, e perfino l’immensa Imam Square è semi deserta, mentre il Bazar chiuso; sono aperte solo le botteghe sotto i portici che circondano la Piazza, pieni in questo caso di famiglie di turisti locali con i sacchetti degli acquisti al seguito. La parte di città più affollata è quella dei numerosi giardini sparsi qua e là, tutti ben curati e ricchi di alberi, aiuole fiorite e giochi per i bambini! Perfino una famiglia di turisti afgani (!) mi chiede quasi timidamente in un incerto inglese, da dove vengo. Torno da Imam Square verso il ponte Si-o-Seh, e da qui, sotto il sole, percorro la lunga passeggiata che segue il corso (asciutto) del fiume fino ad arrivare al Ponte Chubi, più piccolo, fatto di 21 arcate in mattoni. Decido di fermarmi seduto sull’erba a scrivere, all’ombra degli alberi, accanto al ponte stesso; poco distante una famiglia e una coppia di ragazzi, ognuno ha il suo tappeto, il termos, e qualcuno perfino il frigo portatile e il Qalyan (il narghilè locale) per fumare. Qui in Iran funziona così, ovunque ci sia uno spazio verde, ci si accampa a fare pic nic, bella questa tradizione dello stare sempre e il più possibile all’aperto. Attraverso il piccolo ponte pedonale e proseguo sulla riva opposta fino ad un altro ponte, il Khaju, il più antico e forse anche il più bello, con i suoi due livelli di terrazze fortificate dove un gruppo di uomini sta provando dei canti tradizionali. Ripercorro a ritroso il corso del fiume, le cui sponde sono ormai diventate una grande area pic nic. La parte della città al di qua del fiume Zayandeh è abbastanza anonima, fatta di palazzine e ampi viali alberati. Senza quasi incrociare anima viva, arrivo spingendomi sempre più a sud fino al quartiere della comunità cristiano armena di Jolfa, dove, quasi per caso, mi imbatto nella piccola Cattedrale di Vank. La comunità che vive qui da secoli è ben integrata, e vedere simboli di croci cristiane mi fa sorridere pensando all’ intolleranza islamica, luogo comune della nostra intollerante (quella si) società, nella quale non c’è spazio per le moschee. E’ stata lunga arrivare a piedi fino a qui, sono stanco e mi consolo con uno squisito gelato in una delle tante gelaterie che vendono anche granite, frappè e spremute.
Torno nuovamente al Ponte Si-o-Seh prima del tramonto. Chiedo ad un ragazzo di farmi una foto, ma lui non si limita ad una foto, ma mi fa un vero e proprio book da diverse angolazioni, solo grazie all’intervento della sua giovane fidanzata riesco ad interrompere la seduta fotografica! Sono di nuovo lungo Chahar Bagh Abbasi, nuovamente piena di gente a passeggio ora che il sole è tramontato. Ho scoperto che il negozio vicino al mio hotel, con le vetrine oscurate color rosa e una tenda dello stesso colore come porta di entrata, altro non è che un negozio di intimo femminile, nascosto da occhi indiscreti…
Lezioni di italiano in Imam Square
L’immensa Imam Square alle 9.30 del mattino ha un’altro aspetto, quasi deserta con le botteghe chiuse o con i commercianti intenti a esporre le prime merci. Davanti all’antico arco che fa da porta principale del Bazar, vengo avvicinato da un uomo che somiglia a Fernande di Don Camillo, ed è proprio lui stesso a dirmelo con fierezza ed ironia! Facciamo due chiacchere, e mi lascio guidare da lui fino ad una vecchia bottega dove mi invita a vedere da vicino la lavorazione dei tappeti e la loro colorazione. Ne approfitto per farmi dare alcune dritte sull’itinerario che voglio fare domani: lui mi segna su un pezzo di carta in lingua farsi le domande che dovrò fare all’eventuale tassista. Oggi missione Bazar, ovvero primi veri acquisti: mi addentro così nei millenari e ben conservati vicoli al coperto di questo affascinante caravanserraglio, ricco di merci e di gente, prezzi ottimi e poca, quasi nessuna, contrattazione, cosa che non mi aspettavo. Qualche commerciante bagna l’asfalto polveroso, mentre altri oziano tranquilli sotto la luce delle lampadine che illuminano le loro botteghe, e altri ancora trascinano a mano e a fatica carretti di legno carichi di merci. Quella di girovagare per un bazar è sempre un’esperienza affascinante.
Torno per una breve sosta verso il Sahel Hotel, lungo le strade noto i taxi verdi guidati da donne e riservati a sole donne, anche se di donne, nei normali taxi gialli, ne vedo in quantità senza problemi. Oggi è l’ultimo giorno qui ad Esfahan, non voglio perdermi l’ultimo tramonto ad Imam Square. Prima però un frappè lungo Cahar Bagh Abbasi, già trafficata di auto e autobus locali che la percorrono in continuazione. Oltre ad essere i campioni mondiali del pic nic, gli iraniani a quanto vedo se la caverebbero bene anche alle olimpiadi di mangiatori di gelati: ovunque è pieno di gelaterie e gente di ogni età che passeggia per strada con coni o coppette. Torno ad Imam Square, e qui casualmente incontro Ali (Isfahantourguide@gmail.com), un uomo magro e anziano con gli occhiali, in sella ad una vecchia bicicletta, che mi racconta di essere stato professore e che ora fa la guida culturale come ama definirsi: parla perfettamente inglese e francese, contratto un pò con lui, anzi un bel pò visto che dai 50 euro iniziali arriviamo a circa 20, per farmi dare da lui un passaggio domani con la sua auto fino a Toudeshk, nel deserto, la mia prossima tappa. In taxi fino alla stazione dei bus e da lì col bus avrei risparmiato, ma con lo zaino pesante al seguito preferisco optare per un pò di “comodità”, in più Ali conosce personalmente Mohammad Jalali, citato sulla Lonely Planet come l’unico che può trovarti un posto dove dormire nel piccolo villaggio di Toudeshk. Stretta di mano e l’affare è fatto, ci rivedremo domani di fronte al Sahel Hotel. Riprendo a vagare nella piazza, mi ritrovo a scambiare due piacevoli chiacchere stavolta con un viaggiatore solitario che arriva dalla Polonia, d’altronde qui è facile riconoscersi talmente siam pochi e rari. Anche lui sottolinea l’eccezionale ospitalità di questo popolo e la chiusura ottusa della nostra società, condizionata dai media: l’Iran viene visto come il “regno del male”…è buffo pensarlo essendo qui in questo “male”, ma solo chi viaggia e vede coi propri occhi può imparare a conoscere…Il polacco è entrato in Iran dal nord, in bus, proveniente dall’Armenia, stanotte ripartirà verso Shiraz: good luck!
I profili delle montagne dietro al minareto della Moschea dell’Imam si fanno più definiti, il sole sta cominciando la sua lenta discesa; mentre attendo seduto su una panchina guardando i riflessi di acqua delle fontane, si siede accanto a me, timidamente e con discrezione, un giovane iraniano, per le “solite” due chiacchere di piacere suppongo: quando gli dico che sono italiano, apre la sua valigetta tirando fuori il block notes e chiedendomi se posso aiutarlo ad imparare un pò la mia lingua, visto che la sta già studiando da autodidatta, ed in effetti qualche frase già la sa. Così iniziamo una lunga lezione di italiano, dai numeri alle frasi. Io italian teacher su una panchina di Esfahan, centro Iran…chi l’avrebbe mai detto!
Scende la notte, Imam Square illuminata è stupenda, sembra davvero un luogo fiabesco: in particolare il grande portale di accesso alla Moschea dell’Imam col grande portone in legno, i due minareti e l’imponente facciata di piastrelle dalle tonalità blu e azzurre è stupefacente. Ricorderò a lungo questa meraviglia.