La partenza da Dakar al delta del Sine Saloum in Senegal
Siamo arrivati nella notte a Dakar, io e Chiara, compagna di tante avventure. Ora, alle prime luci del mattino, siamo seduti sulla soglia della Keure Diame, la guesthouse dove abbiamo passato la prima notte in terra africana, ci sembra di essere stati catapultati in un documentario: davanti a noi, nella sabbiosa strada, passano donne dalle lunghe vesti tipiche, dai colori accesi e vivaci, indossati con eleganza e sobrietà, alcune coi loro piccoli legati a fascia dietro alla schiena, altre che trasportano grandi ceste in perfetto equilibrio sulla testa.
Arriva l’auto che avevamo prenotato, una Peugeot gialla guidata da un giovane. Pochi km e Dakar si rivela subito caotica, affollata e disordinata. Sull’ampia spiaggia molti giovani giocano a calcio o fanno ginnastica, nelle strade invece, vecchie macchine, sgangherati taxi gialli e neri e mini pulmini colorati stracarichi di gente, perfino aggrappata alla parte posteriore. Persone ovunque, ai bordi delle polverose strade, sotto i vecchi cavi che portano la poca corrente elettrica in città. Dakar è molto estesa, la strada si allarga, solo una volta usciti dai suoi sobborghi la natura prende il sopravvento: una natura strana, poco verde, anzi quasi nulla visto che il terreno è arido, ma ci sono enormi alberi di baobab ovunque, tanti come mai mi era capitato di vederne, neanche nella mia precedente e unica esperienza africana in Namibia. E ancora alberi di mango, grandi piante di bouganville coi fiori viola, bianchi e arancioni, che colorano i pochi piccoli villaggi che attraversiamo lungo la strada; piccoli bambini giocano a gruppetti, alcuni scalzi, coi copertoni delle auto, in mezzo a tanta immondizia sparsa un pò dappertutto, tanto che su alcuni rami degli alberi sembra di vedere dei corvi, invece altro non sono che brandelli di sacchetti di plastica nera portati lì dal vento.
E’ quasi mezzogiorno, arriviamo a Mbour; breve sosta in un piccolo supermarket pieno soprattutto di prodotti importati dall’occidente, fuori tantissimi giovani si accalcano tra le impalcature di una moschea in costruzione: “lavorano gratis, per la fede. Non percepiscono alcun salario” ci dice Pepe, l’autista. Mbour è una cittadina piuttosto estesa, ci sono le insegne di qualche ristorante locale, in giro carretti di legno carichi di gente e merci, trainati da cavalli o piccoli e semplici calessi trainati da somari. E’ l’Africa dei racconti, con gente non contaminata dall’occidente nonostante i bambini e i ragazzi indossino le maglie dei calciatori famosi, così come a Dakar. E ancora bancarelle colme di frutta, e poco distante di pesce lasciato ad essicare al sole, dall’odore fortissimo. La strada prosegue: superata la cittadina di Joal devia verso l’interno lasciando la costa e diventando una larga pista di terra battuta rossa, un pò sconnessa, circondata da aree paludose e rifiuti. Man mano sempre più nel nulla, in una zona arida dove si aggirano tra i baobab mucche dalle lunghe corna, in cerca di sterpaglie.
Il Nissan Lodge
Arriviamo, una piroga colorata indica l’arrivo al Niassam Lodge. Il posto che chiunque sognerebbe per una luna di miele: 3 palafitte di legno costruite sugli enormi tronchi di altrettanti baobab e qualche capanna a forma circolare dal tetto a cono in paglia, direttamente nella grande laguna del Delta del fiume Sinè Saloum, tutte discretamente separate tra loro; al centro la grande capanna ristorante e una piccola e graziosa piscina tra palme, alberi di carrube dai fiori rossi e bouganville. E’ incredibile come ancora tutto sia cambiato se ripenso a Dakar poche ore fa…Attraversiamo con gli zaini la passerella di assi di legno che porta alla nostra camera, la “Lagune”, subito alle spalle di un grande baobab sulla penisoletta affacciata sulla laguna. Tutta in legno, bellissima, con un panorama mozzafiato. L’unico rumore che si sente è il cinguettio degli uccellini, una calma surreale, un piccolo Eden in terra dove la tranquillità regna sovrana…
Palmarin
l villaggio di Palmarin, ovvero l’insieme dei 4 piccoli villaggi che lo formano, non deve essere distante da qui, così come l’Oceano sul quale affaccia. Lasciati gli zaini, io e Chiara ci incamminiamo lungo l’arida pista di terra, circondata da qualche pozza di salina dalle acque torbide e colorate. La terra è rossa, fa molto caldo. La poca gente che si incontra e che attacca a parlare lo fa però sempre in modo gentile e sorridente. Arriviamo quasi a bordo Oceano dopo più di 20 minuti di cammino: tra alcune piccole casette in calce, nelle vie di sabbia e polvere, alcuni bambini incuriositi ci si avvicinano chiedendo di essere fotografati.
Iniziamo così a fotografarli e farli rivedere nei monitor delle nostre macchine, sono contentissimi, per loro è un gioco e non ci mollano più.
Gioco al quale arrivano a partecipare anche dei ragazzini poco più grandi che stanno giocando a calcio sulla sabbia a piedi nudi con un pallone…da basket, di cui mi rendo conto solo quando provo anche io a dare un calcio…un male! Però una volta conscio del pallone, un rigore me lo concedo! Chiara è circondata, è un continuo scattare, un ragazzo ci lascia perfino il suo nome e cognome da mettere sulla foto; tutti si presentano, ti chiedono il nome e poi la foto. Andrebbero avanti ore così, ma noi lentamente dobbiamo tornare al lodge prima che tramonti il sole, e abbiamo un pò di strada da fare nel nulla…
In laguna si è nel frattempo leggermente alzata la marea, la poca luce che filtra dona delle colorazioni argento e blu all’acqua, accentuando il contrasto dei profili delle capanne e dei rami dei baobab all’orizzonte.
Alla capanna ristorante il bizzarro Gianpierre, uno dei proprietari francesi dell’area, ci chiede aiuto nella traduzione in italiano del testo della canzone “voulez vous coucher avec moi ce soir”; ci scherziamo un pò su con lui e con il simpatico ragazzo senegalese responsabile dell’area ristorante. Non ci sono altri stranieri qui alloggiati oltre a noi. Si fa buio, la passerella di legno che porta alla chambre Lagune viene illuminata da alcune vecchie lanterne poste lungo le assi di legno dal personale. Ricca cena e poi quattro chiacchiere sorseggiando del gustoso rum al frutto della passione, uno dei vari gusti fra quelli fatti in casa ed esposti in grandi bottiglioni sul banco di legno del bar: cocco, baobab, bissap, cannella, banana, ginger…ce ne è per tutti i palati.
Svegliarsi al mattino grazie ad un gruppo di pellicani che sta facendo rumore nelle calme acque della laguna proprio a pochi centimetri dalla porta rialzata della propria capanna, interrompendo così un silenzio surreale, è qualcosa che non capita proprio tutti i giorni, così come non capita di saziarsi con una colazione servita a bordo laguna, sul piccolo tavolino in legno della capanna: pane, tè ed ottime marmellate fatte in casa di baobab, bissap e mango. C’è il sole, e si fa sentire forte sulla pelle fin d’ora.
In volo sul Delta del Sine Saloum
Stamattina voliamo. Voliamo a bordo di un piccolo ULM, un aereo ad elica simile ad un aliante, guidato dall’esperto Friedric, un altro francese trasferitosi qui, che viene a prenderci direttamente sulla spiaggia della laguna di fronte al ristorante. Un volo di 20 minuti a testa, visto che su non c’è spazio per tre. Parte prima Chiara e poi io…Chiara torna con un sorriso che parla da solo, tocca a me: mi incastro nel piccolo abitacolo aperto, cintura a bretella allacciata, gambe posizionate, cuffia anti rumore indossata; il pilota comincia la sua rincorsa sulla sabbia, sempre più veloce fino allo stacco da terra, adrenalinico, emozionante. Ma ancora più emozionante è lo spettacolare panorama sottostante, qualcosa di unico e mai visto prima. Volo a qualche centinaio di metri dal suolo, sotto di me decine e decine di tonde pozze, ognuna dal colore intenso e diverso, blu, ocra, giallo, rosso, azzurro…sono le saline del Saloum, con il corso d’acqua azzurro intenso che sfocia nell’Oceano formando uno spettacolare delta, fatto di una serie di morbide curve d’acqua nel deserto.
E ancora le acque blu dell’Atlantico che bagnano le coste della sabbiosa Palmarin, l’area del Niassam vista dall’alto, con la nostra capanna sulla laguna che ricorda gli atolli maldiviani; mi sembra di vivere le immagini dall’alto dei grandi fotografi che ho ammirato nei libri della White Star. Anzi, non sembra, le sto proprio vivendo e fotografando anche io. E continuo a scattare, quasi volendo sporgermi oltre il consentito frenato solo dalla stretta bretella. Non ho mai fatto così tanti scatti in un lasso di tempo così breve, ma è un’esperienza unica e forse irripetibile che non posso farmi sfuggire. Riatterriamo sulla spiaggia, io felice come un bambino, e anche sollevato visto che stamattina aveva ceduto in camera la cinghia della macchina fotografica, facendole fare un bel tonfo, ma sembrerebbe tutto a posto!
L’incontro con David
Relax e chiacchiere nelle ore più calde immersi nella piscina del lodge, tutta per noi, ci incamminiamo poi verso Palmarin, col sole che allenta un pò il suo picchiare duro sulla nostra pelle. Arriviamo dopo 20 minuti alla larga pista in terra rossa battuta, e qui veniamo avvicinati da David, 22 anni, di professione, a suo dire, calciatore e guida turistica. David chiacchiera, chiacchiera tanto, come tutti i senegalesi. Si offre di accompagnarci lui allo Yokam, la guesthouse dove vorremmo pernottare da domani. Dalla strada, dove di rado passa qualche macchina o piccolo camion, ma più spesso qualche cane randagio, ci addentriamo verso la lunga spiaggia, deserta e piena di alghe secche. In mare, a poche decine di metri dalla riva, un vecchio e arrugginito relitto di una nave, spezzato in due. “Cinq minute…”, ma i 5 minuti di David si trasformano in 10, poi 15, poi 20…minuti di cammino sotto il sole che lentamente comincia la sua discesa verso il mare. Lui se la ride, e in fondo, seppur sempre più faticosamente, noi anche.
Arriviamo, finalmente, allo Yokam, un gruppo di capanne in calce rossa col tetto a cono in paglia, niente di neanche lontanamente paragonabile al Niassam come già sapevamo. Il giovane proprietario, un ragazzo minuto e sorridente con un bizzarro cappellino di lana in testa, ce ne mostra alcune. Il luogo è deserto, affacciato sulla spiaggia che però, come il lungo tratto fin qui attraversato, è sporca e frequentata solo da qualche solitario ragazzo che si allena a correre o a fare ginnastica. Ma abbiamo già deciso, ci concederemo un’ultima notte da re al Niassam, si vive una volta sola, e così riserviamo la capanna ma per dopodomani, cioè l’ultimo giorno che passeremo qui nella zona di Palmarin. Siamo stanchi, abbiamo camminato per chilometri oggi, per di più in gran parte sulla sabbia; tornare a piedi al lodge prima che venga buio è ormai impossibile, David ci troverà un passaggio in calesse, ma prima ci tiene a portarci al suo piccolo villaggio, stavolta davvero non distante dallo Yokam.
La famiglia africana
In pochi minuti di cammino in un arido nulla, eccoci arrivati: piccole abitazioni di mattoni rivestiti di calce bianca, sembrano incompiute, qualcuna con pezzi di lamiera come tetto, le strette vie tutte di sabbia, pozzi circolari dai quali donne dalle lunghe vesti colorate tirano su i secchi dell’acqua. David ci porta alla piccola casa della madre, una signora robusta e allegra, la quale ci accoglie come ospiti d’onore, facendoci accomodare all’aperto nello spiazzo di sabbia antistante, su due vecchie e sgangherate poltrone, attorno ad altre persone del villaggio intente a passare il tempo chiaccherando. Siamo indubbiamente al centro dell’attenzione, una cosa insolita, soprattutto per i bambini che, dapprima un pò impauriti e poi divertiti dal “gioco” delle fotografie, ci circondano in breve tempo.
Qui è l’Africa, Africa vera. La mamma di David ci offre del vino di Palmarin, una specie di liquore di colore bianco, dal sapore acido imbevibile, fatto artigianalmente col succo ricavato dalle foglie di palma. Una delle signore anziane che è lì con noi evidentemente deve averne bevuta una certa quantità a giudicare dalle parole sconnesse che pronuncia e dai ripetuti saluti in inglese che continua a farci senza però mai andarsene sul serio.
Intorno a noi qualche maialino vaga per le sabbiose stradine del paese. Il sole nel frattempo è calato ed è già buio. Trattiamo con un amico di David, vestito come rapper americano, fino a concordare un prezzo per farci riportare al Niassam in calesse, ovvero un carretto in legno su due ruote trainato da un cavallo; viene anche David con noi. Salutiamo, promettendo di tornare fra due giorni quando pernotteremo qua vicino. Nel prezzo concordato c’è perfino il supplemento notturno, furbi questi senegalesi. La dritta e polverosa strada è completamente al buio, tanto che l’amico di David al passaggio in senso opposto di un camion, usa la luce del display del suo telefonino per farsi vedere; telefonino usato anche come autoradio per farci ascoltare le canzoni di Rihanna e Bob Marley, paradossale circostanza qua nel nulla più totale.
Arriviamo al Niassam che è quasi tardi per la cena, ma è stata una giornata piena ed intensa, la cui degna conclusione non poteva che essere sotto un tappeto di stelle tanto fitto da togliere il fiato, e da far luccicare gli occhi, nel silenzio totale della laguna. Una volta nella nostra capanna di legno, la buonanotte ce la offre invece una insolita luna rossa che illumina come un faro l’orizzonte.
Cullati su un baobab
Anche questa mattina i pellicani non hanno mancato il loro ritrovo ai piedi della capanna. Capanna che oggi lasciamo, in quanto già prenotata, e non da noi che solo ieri abbiamo deciso di regalarci un’altra notte qua nel silenzioso ma costoso paradiso del Niassam. Ci trasferiamo poche decine di metri più in là alla chambre “Robinson”, una palafitta in legno costruita su un baobab, con la camera da letto in alto a cui si accede da una scalinata, poco sotto una terrazza vista laguna tra i rami del baobab, con amaca e tavolo per la colazione, e il bagno in basso, con parte della parete costituita dall’enorme tronco del baobab, proprio a lato della doccia. Anche questa una sistemazione da mille e una notte. Oggi giornata di ozio, di dolce vita africana passata a chiacchierare ai bordi o dentro alla piccola piscina. Anche oggi alla piscina ci siamo solo noi due e un gruppetto di piccoli uccellini colorati che di tanto in tanto viene a bere a bordo acqua. Le buganvillee e i fiori rossi degli alberi di carrube intorno aiutano a creare davvero un’atmosfera da piccolo Eden. Passano così le ore, col sole che nel pomeriggio lascia il posto a qualche nube portata da un fresco venticello, che allieta tanto noi quanto il cane femmina che vive qua al lodge, e che ha passato l’intera giornata a dormire all’ombra di una panca. Scende la notte, è l’ultima ricca cena ai tavoli all’aperto del ristorante a bordo laguna, gli ultimi sorsi di rum.