Navigazione lungo il Sungai Sekonyer
Oggi è il giorno della partenza in navigazione lungo le acque del Sungai Sekonyer.
Sukran, un giovane dai tipici tratti indigeni, berretto in testa, inglese incerto e aria scanzonata, sarà il mio accompagnatore, mentre il resto dell’equipaggio è composto da Ali, il nostromo (un uomo più basso di me e con la pancetta), il suo secondo (un giovane ragazzo del posto) e la cuoca. Di loro solo Sukran sa un po’ di inglese.
Arrivo a piedi al vecchio e disordinato porticciolo e, passando da una banca all’altra, metto piede su quella che sarà la mia casa galleggiante per i prossimi tre giorni: un klotok, ovvero un piccolo battello a due piani, in legno dipinto di verde e azzurro, con un minuscolo bagno, l’acqua da prendere a secchiello da una bacinella, e una sgangherata bandiera indonesiana a poppa.
Sono le 10.30 del mattino, comincia l’avventura!
Il klotok accende il suo rumoroso motore e comincia a solcare le placide e stagnanti acque color marrone del fiume, il cui primo tratto è molto ampio, per poi diventare via via più stretto e contornato da una rigogliosa e fitta vegetazione. Mi godo la navigazione in perfetta solitudine: la ciurma infatti se ne resta al piano inferiore, mentre io sono su in cima, al coperto del tettuccio ad arco nella parte centrale della barca, accanto ad un tavolo con pesanti sedie in legno e ad un plasticoso materassino posto sopra ad un tappeto persiano, infatti a bordo si sta rigorosamente senza scarpe. Mi torna alla mente la navigazione lungo il Rio delle Amazzoni in Brasile, stessa rigogliosa vegetazione, ma qui, essendo solo, mi sento quasi un piccolo esploratore naturalistico.
Improvvisamente in cima ai tronchi più alti odo un trambusto: è un nutrito gruppo di scimmie nasiche che si sta spostando tra i rami, sono tantissime; si gettano da un ramo all’altro quasi a corpo morto, con una agilità impressionante. La barca accosta e spegne il motore per permettermi di godere dello spettacolo: le scimmie nasiche sono a non più di 10 m da me, è bellissimo.
Riprendiamo dopo un po’ la lenta navigazione incrociando di rado qualche altro klotok. Dopo due ore attracchiamo ad un’ampia banchina fatta di assi di legno, in uno dei tre punti di più facile osservazione degli oranghi.Â
Qui scendo ed insieme a Sukran inizio a percorrere un breve tratto di sentiero nella fitta giungla. Cammiamo sulle foglie cadute dagli alberi e rese umide dalle recenti piogge, ci sono anche impressionanti radici emerse dal terreno che creano le forme più strane e sulle quali è facile inciampare e formiche giganti grandi mezzo dito!
Quando ecco, inaspettato, il primo avvistamento: un orango se ne sta tranquillo in cima ad un albero, spostandosi di tanto in tanto da un ramo all’altro.
Resto ad osservarlo, ma in breve mi accorgo che non è il solo animale presente: ce ne sono altri, un intero gruppo attratto da un casco di banane lasciato appositamente su alcuni assi di legno lì vicino. Lentamente e quasi a turno, gli oranghi scendono dall’alto dei rami fin giù a terra a prendersi il cibo; qualcuno poi se lo riporta in cima prendendo anche tre o quattro banane alla volta e tenendole con le zampe posteriori. È uno spettacolo incredibile, resto in assoluto silenzio, stregato e circondato da questi bellissimi animali, dal lungo pelo color rosso rame, e dagli atteggiamenti e le espressioni del tutto simili a quelle umane. Resto impressionato dall’agilità che hanno nello spostarsi da un ramo all’altro, usando tutte e quattro le zampe prensili, sembrano sempre in precario equilibrio e sul punto di cadere. Arriva anche il maschio alfa, il capo del gruppo: lo si capisce dagli evidenti cuscinetti adiposi attorno alla faccia e dalla impressionante stazza rispetto a tutti gli altri del gruppo, i quali gli stanno a debita distanza.Â
Anche lui, con la sua leggiadra goffaggine, si arrampica in cima a dei rami con il suo bottino di banane che sbuccia e mangia lasciando cadere le bucce sul terreno sottostante. Poi, placido, comincia a grattarsi dappertutto; è uno spettacolo incredibile ed emozionante. Arriva anche una mamma col suo piccolo aggrappato al ventre, è buffissimo, sembra un pelouche spettinato; si stacca dalla madre per cimentarsi in una serie di capriole tra i rami, lasciandosi penzolare a testa in giù sorreggendosi appeso alle zampette posteriori; poi la mamma fa per allontanarsi e lui dopo un guaito, subito le si riattacca ad una zampa, una scena tenerissima. Passano le ore, almeno due, forse tre, circondato davanti dietro e sopra dagli oranghi, saranno una dozzina, mi sento osservato ed in fondo sono io l’ospite nel loro habitat. Osservare gli animali nel loro ambiente è sempre un’emozione unica ed indescrivibile.
Torno felice al klotok che ora è affiancato da altre tre imbarcazioni. Sulla riva opposta in questo tratto di fiume largo non più di 20 metri, un bambino vestito con la maglietta del Real Madrid, sta pescando, mentre un altro gruppo di scimmie nasiche, rumorose e decisamente più aggressive tra di loro, dà spettacolo sulle alte cime degli alberi. L’umidità è tanta, cerco di alleviare il senso di appiccicaticcio con una veloce doccia consistente in un secchiello di acqua fredda rovesciatami dalla testa; mi tornano alla mente le artigianali docce in Tibet con Graziana, altro viaggio ed altro clima, ma identiche forti emozioni e il contatto unico con la natura.
Scende la sera e con sè una leggera foschia che avvolge la giungla nel suo silenzio. Alì il nostromo sposta il klotok qualche chilometro più avanti, in un tratto solitario del fiume, attraccando accanto a delle piante dagli strani frutti e legando ad esse le resistenti corde; passeremo la notte qui completamente immersi nella natura. Sono appena le 17.30, ma è già buio ed è già ora dell’abbondante cena servitami nel mio regale monolocale superiore, a lume di candele, dalla luce così fioca, che a fatica riesco a vedere cosa ho nel piatto, soprattutto i moscerini volanti che vi ci cadono. È infatti un’invasione di insetti attorno alla fiamma delle due candele.
Ore 19.30, ormai è buio fitto ed è arrivata ora di dormire. La notte nella giungla non è affatto silenziosa, ma è bensì un concerto sonoro tanto assordante quanto affascinante, fatto di versi di insetti e uccelli; versi inquietanti nel buio più assoluto: mi rintano nel mio bunker fatto di un morbido materasso chiuso da veli di zanzariera, al riparo dagli insetti, ma non certo dallo sguardo attento di chissà quale animale…Â
A tu per tu con gli oranghi
Ore 5.30 del mattino, il Sungai Sekonyer è avvolto in una leggera foschia, gli insetti con la luce sono spariti, e anche il verso degli uccelli è meno intenso. Uno ad uno si svegliano i componenti dell’equipaggio, e quando sono ormai le 7, riprendiamo la lenta navigazione lungo le placide acque color terra, mentre la foschia si alza per dare spazio ad un pallido sole. Il tratto del fiume si fa più stretto, dopo due ore di navigazione attracchiamo ad un alto pontile in legno, Pandok Tandui, una stazione di reinserimento e nutrizione degli oranghi. Stavolta ci sono altri klotok già ormeggiati, e per arrivare alla banchina bisogna necessariamente passare da una barca all’altra stando bene attenti a non cadere in acqua; ormai sono pratico.Â
Una volta sulla terra ferma percorro con Sukran, un breve sentiero fra la fitta vegetazione, fino ad arrivare al punto di osservazione, una piccola banchina di assi di legno dove degli uomini lasciano mazzi di banane mature e due recipienti in latta colmi di latte. Bastano pochi minuti ed ecco sentire il rumore delle foglie e dei rami, un’orango femmina col suo piccolo aggrappato al ventre, si muove quasi catapultandosi per spostarsi da un albero all’altro fino a ascendere sulla piattaforma: si guarda circospetta attorno, a pochi metri un gruppetto di strani animali bipedi, armati di strani cannocchiali, stanno osservando proprio lei, e fra questi ci sono io.
È uno spettacolo osservarla mentre raccoglie più banane possibile con tutte le zampe libere, tenendone persino un mazzo intero in bocca, prima di aggrapparsi nuovamente ai rami; ma è inevitabile che più della metà del bottino lo perda strada facendo. Passa di ramo in ramo proprio sopra le teste degli strani bipedi, lasciando dall’alto anche un ricordo liquido, a non più di un paio di metri da me. Poi arriva un altro orango, è ancora un’altra mamma con il suo cucciolo, davvero piccolo, con la peluria ancora tutta spettinata e due occhioni neri grandi che gli riempiono il volto; i piccoli stanno attaccati alle madri come delle sanguisughe, aggrappati in ogni buffo modo, si staccano solo pochi secondi per immergere tutto il viso nelle ciotole piene di latte.Â
È tempo di tornare verso il klotok, mi aspetta l’ultimo e più famoso campo di osservazione del parco, Camp Leakey, creato dalla famosa ricercatrice Birute Galdikas dal 1971 quando vi si stabilì dando vita al più importante progetto al mondo di salvaguardia degli oranghi, tanto che oggi il Taniung Puting conta oltre 6000 esemplari, la più grande popolazione di oranghi allo stato selvaggio di tutto il pianeta.
La navigazione prosegue lentamente sulle acque infestate dai coccodrilli, arrivo a contarne almeno tre, uno enorme che al passaggio del kotlok dalla riva si è letteralmente tuffato nascondendosi nelle buie e torbide acque.
Il letto del fiume ora è molto stretto, il klotok ci passa appena, con le foglie delle piante che battono contro il tettuccio dell’imbarcazione. Arriviamo all’attracco del Leakey che ahimè è un luogo gettonato, ci sono già una decina di klotok, per fortuna con a bordo ciascuno non più di due persone.Â
Prima di tutti, io e Sukran prendiamo il sentiero nella giungla: come ieri, per terra foglie e grovigli impressionanti di radici che fuoriescono dal terreno, tutto intorno alti fusti, tanto che è difficile vedere il cielo. All’improvviso un’inaspettata sorpresa: una mamma orango con il suo piccolo appeso al collo e con un altro giovane esemplare, sono proprio qui lungo il sentiero davanti a me.
Non c’è nessun altro per ora, è ancora presto per il pasto degli oranghi, ci siamo solo io Sukran e i tre oranghi! Sukran è sorpreso, io emozionato: non sono mai stato così vicino ad un orango selvaggio, una bellissima sensazione; mi muovo molto lentamente, sono praticamente accanto alla mamma, seduto sopra ad un tronco; lei mi tiene d’occhio ma sembra fidarsi, mentre il piccolo allunga il suo braccino verso di me, tenendosi con l’altro stretto al collo della mamma. Mi siedo accanto a loro, poi lei si alza lentamente mettendosi il piccolo sul ventre e incamminandosi proprio lungo il sentiero: la seguo, vedendo le manine del piccolo spuntare sulla pelosa schiena della mamma. L’altro orango giovane è rimasto sugli alberi e ora anche la madre col piccolo risalgono arrampicandosi. Un incredibile, fortunoso, inaspettato ma soprattutto emozionante incontro ravvicinato nel bel mezzo della giungla!
Dopo le iene in Etiopia ora gli oranghi in Indonesia, non potevo chiedere di più in questo mio viaggio nel Borneo.
Prosegue il cammino lungo il sentiero e arrivo alla piattaforma di nutrizione, ancora deserta. C’è anche un macaco tra gli alberi, ha le movenze decisamente ginniche, salta nel vuoto aggrappandosi ai tronchi quasi fosse l’uomo ragno! Poco a poco arrivano gli altri turisti, non c’è nessun italiano ovviamente da queste parti: ecco le banane, ed ecco puntuali spuntare tra i rami i primi oranghi, ancora mamme con i piccoli, una particolarmente vorace, conto 12 banane divorate in meno di un minuto! Sembrano quasi darsi il cambio gli oranghi, dell banchetto approfittano anche il macaco e uno scoiattolo che veloce prende la propria razione e fugge via. Gli oranghi no, loro a parte la mamma vorace, sono placidi e lenti, quasi volessero tutta la scena per loro. Certo questo è un punto di avvistamento creato ad hoc, niente a che vedere con il precedente incontro lungo il sentiero, ma è pur sempre uno spettacolo. Le banane sono quasi finite, non pare arrivare più nessun altro orango dalla foresta, fine dello spettacolo.Â
L’umidità  oggi non lascia tregua, la mia maglia pare uno straccio umido per lavare i pavimenti; ripercorro a ritroso il sentiero, e proprio nel suo tratto finale, lungo la passerella di legno non distante dalla banchina, ecco la seconda inaspettata sorpresa: un esemplare di orango maschio, anziano e piuttosto grosso è proprio seduto qui, dando la schiena al sentiero, quasi a volerne impedire il passaggio.
Con molta lentezza gli passo a fianco, è tranquillo e non sembra molto fare caso alla mia presenza. Ho modo di sedermici di fronte, ci osserviamo silenziosamente da vicino curiosi: gli occhi neri piccoli si perdono sul viso rugoso, il suo pelo rosso rame è bellissimo visto da vicino. Sembra avere lo sguardo triste o forse no, chissà …
Oggi alla fortuna non posso chiedere altro. Gli incontri più inaspettati ed emozionanti sono stati quelli fuori dalle piattaforme di osservazione, forse un dio dei viaggiatori per citare Cisco e la sua stupenda “ninna nanna”, esiste davvero.Â
Torno sul klotok, sudato e felice; la giovane cuoca ha preparato per merenda delle squisite frittelle di mele. Il klotok intanto riparte e ripercorriamo a ritroso un breve tratto del Sungay Sekonyer prima di attraccare per la notte in un punto dove stavolta altri con klotlok già ormeggiano, accanto ad un pontile in legno. Fa presto buio qua nella giungla, dopo cena c’è però tempo di scendere a terra, saltando quasi dalla barca ad un altro pontile, non certo sicuro, e fare un breve trekking notturno lungo un sentiero scortato da un giovane del luogo munito di una torcia frontale e di un grosso machete legato in vita. I suoni della notte si fanno intensi, versi di grilli, cicale, uccelli che si accavallano l’ uno sul altro; illuminati dal fascio di luce della torcia scopriamo un paio di piccole rane bianche arrampicate ai tronchi, uno strano e grosso verme viscido con le zampe, e in ultimo una tarantola mezza nascosta nella sua tana scavata nel terreno.
Questa intensa giornata ricca di inaspettati ed indimenticabili incontri, volge al suo epilogo. Torno così nel mio bunker zanzariera, per quest’ultima notte galleggiante sulle acque del placido Sungai Sekonyer nel cuore della giungla del Borneo, cullato dai numerosi e magici suoni della natura.Â
Pasalat : Orangun Foundation International
Anche stamattina alle prime luci dell’alba la ricca e fitta vegetazione del Tamjung Puting è avvolta in una leggera foschia che rende il paesaggio spettrale ed affascinante al tempo stesso. Sono da poco passate le 7.40, quando Alì riaccende il rumoroso motore del klotok e si riparte lungo quello che in questo tratto, più che un fiume, sembra uno stretto canale. Me ne sto seduto a prua, sulla punta azzurra della barca a godermi la navigazione; la leggera nebbia si sta diradando, permettendo ad un pallido sole di accendere, illuminandola, la vegetazione, con tutte le sue tonalità di verde.
Un gruppo di scimmie nasiche se ne sta sui rami che propendono proprio sopra il fiume, tanto che al passaggio del klotok, una alla volta, si lanciano a volo d’angelo verso gli alberi della sponda opposta, ma la distanza è troppa pure per le loro notevoli capacità di salto, e tutte, compresa una mamma con il grembo un piccolo, finiscono nelle acque del Sungay Sekonyer prima di riacciuffare la terra ferma e riarrampicarsi nuovamente sugli alberi; è andata bene perché i coccodrilli sono sempre in agguato, tanto che solo poche miglia più avanti ne avvisto uno per pochi secondi prima che scompaia nelle acque. Osservo e penso… Quei momenti in cui la mente si libera dai pensieri spesso inutili e nocivi a cui la nostra drogata cultura consumistica occidentale ci abitua; in viaggio della mente si apre, si apre a delle piccole e grandi cose, ci si sente più leggeri e felici.Â
Il klotok attracca ad una banchina in legno: Pasalat, dove parte una lunga passerella di malandate assi di legno che arriva ad una costruzione dell’ Orangun Foundation International: siamo io e Sukran, qui un signore del posto ci scorta per un breve sentiero all’interno della giungla, anzi in realtà il sentiero non c’è, lo crea lui facendosi largo fra rami e fogliame con il suo grosso macete. Vegetazione fitta, enormi tronchi che qui chiamano Iron Three, bambù, canne da zucchero e gli alti alberi dal fusto stretto e i rami flessibili che tanto amano gli oranghi, un grande termitaio ed infine, quasi a volerli salutare in quest’ultimo trekking, un orango, un grosso maschio che avvisto a poca distanza, in alto tra i rami, dopo aver udito nel silenzio l’inconfondibile rumore di foglie mosse dalla grande animale nel suo spostamento. Anche oggi è molto umido, a camminare sotto il sole si fa fatica, ma non manca ormai molto al rientro a Kumai.
Torno al klotok, si riparte e dopo poco, ultimo attracco alla banchina nell’unico villaggio autoctono all’interno della vasta area del Tanjiung Puting: il Sekonyer Village. Poco più in là del fiume, una serie di case in legno, alcune con tetti in paglia, altre in lamiera, sono disposti ai lati di un rivolo d’acqua stagnante, quasi fangoso, dove alcuni bambini stanno perfino giocando. Colorati panni stesi un po’ ovunque ad asciugare, qualche gallina e un paio di galli, delle cisterne arancioni per l’acqua potabile, qualche parabola e poco più. Villaggio semplice, abitato da povera ma dignitosa gente. Torno alla banchina dove una grande statua di orango fiancheggia un piccolo negozio di souvenir, l’unico incontrato in questa mia permanenza nel Borneo, ma che è chiuso con tanto di lucchetto, peccato. La lenta navigazione riprende, il corso del fiume si fa sempre più ampio, e dopo un altro paio d’ore arriviamo ad avvistare in mare aperto le prime costruzioni di Kumai: ci siamo, ancora pochi minuti e il klotok si avvia verso il molo, tra imbarcazioni mercantili piuttosto fatiscenti e qualche altro klotok ormeggiato, al quale ci affianchiamo, leghiamo con le spesse corde il nostro, e via per l’ultimo passaggio tra un klotok e l’altro, fino a quella che dovrebbe essere una banchina. Navigazione terminata, un’esperienza unica ed incredibile, difficile per alcuni versi ma ricca di emozioni indimenticabili che porterò sempre con me. Stanco e un pò triste per la fine di questa esperienza da esploratore. Rieccomi nella piccola Kumai nel Majid Hotel, finalmente pronto per una agognata doccia, che come nella più classica delle commedie, cessa di emettere acqua non appena finisco di insaponarmi.